Di bivio in bivio: la disciplina del Discernimento

Non era così che mi aspettavo l’umanità con l’inizio della Fase 2… Erano tanti i propositi, tanta la voglia di “essere migliori” ma non basta dirlo perché sia magicamente realizzato.

Mi arrivano le notizie quotidiane e mi ritrovo a sentirmi attonita, tristissima, a volte furibonda, delusa, disillusa, sconfortata… poi mi viene addosso un dolore sordo e la chiara consapevolezza che quando scelgo i miei valori, la mia ricerca personale, i miei percorsi di crescita, lo faccio camminando sulla sottile linea di confine che li separa dalle peggiori potenzialità che appartengono anche a me, come ad ogni essere umano.

Il meglio e il peggio forse non sono affatto separati. Forse mi fa comodo immaginarli separati, nell’illusione di potermi sentire al sicuro da me stessa.

Di certo non è facile. Ho coltivato per quanto possibile un po’ di digiuno mediatico e la parola che più di tutte mi rimbomba nella mente e nel cuore è DISCERNIMENTO … Sempre di più e con sempre maggior vigilanza attivare l’arte del Discernimento per scegliere che persona voglio essere, come voglio comportarmi, da cosa voglio lasciarmi riempire e cosa voglio generare attorno a me. Ho bisogno soprattutto di liberarmi da un “troppo pieno” di opinioni.

Talvolta sobbalzo quando sento l’espressione “ritorno alla normalità”: “normale”, ahimè, è anche tutto ciò che attuiamo costantemente e deliberatamente, una tragica umanità che giudica, offende, sentenzia senza mai porsi domande, lede la libertà altrui in nome della propria, disprezza e vìola la Natura, approfitta dello stato di necessità per il proprio vantaggio personale, pretende di possedere la verità. Vorrei che non fosse normale, ma invero questa è la natura umana: sempre di fronte alla possibilità di scegliere dove dirigere i propri passi.

Alcune volte ci cado proprio dentro, per esempio quando leggendo qualsiasi episodio di violenza mi sento “migliore”. Il fatto è che precisamente in quel momento io vado esattamente là dove a parole dico di non voler andare, e separo il mondo in buoni e cattivi.

Guardo con tristezza e dolore ancora più grande la velocità con la quale abbiamo lasciato da parte i nostri entusiastici commenti sulla Natura che in poco tempo aveva ricominciato a respirare e a riprendere spazio, i nostri propositi di cambiamento, il nostro stupore.

E oggi ricominciamo a correre (nelle nostre auto, al riparo dai contatti), produciamo ancor più plastica, infiliamo i guanti monouso senza ragionare…

No, non sto promuovendo una disubbidienza a ciò che oggi rappresenta la cura di sé e degli altri, ma osservo come la paura possa esprimersi attraverso un insieme di azioni (talvolta in totale adesione, talaltra in totale ribellione) che ci danno l’illusione di essere liberi, quando liberi non siamo affatto. E non a causa di decreti o di app! Non siamo liberi perchè siamo impregnati di condizionamenti che non riusciamo neppure a riconoscere.

È necessario essere sinceri: tutti siamo stati shakerati da questa emergenza, tutti ci siamo trovati a dover fare i conti con l’equilibrio personale, con le ondate emotive scatenate dalla totale perdita di sicurezze. E tutti coloro – me compresa – che hanno pensato e scritto che questa pandemia può costituire l’incredibile opportunità per un salto quantico evolutivo, si sono trovati ad attraversare la fatica insita in ogni Grande Passaggio. Può essere stata diversa la durata e l’intensità, ma dubito fortemente che qualcuno abbia potuto non esserne toccato.

Quindi nel trovarmi quotidianamente a dover discernere, a dovermi proteggere dalle informazioni (o disinformazioni) diffuse su tutti i mezzi, prima di accusare di insipienza o di addentrarmi in riflessioni politiche, sociologiche, economiche, ecc… per le quali non ho competenza, mi domando quanto ogni decisione ed ogni comunicazione riguardante la gestione di questa grave emergenza sia stata s-travolta da uno tsunami di emozioni personali e collettive non viste, non riconosciute, non accolte.

C’è un libro prezioso – piuttosto noto e ormai datato –  che sarebbe stato (e sarebbe ancora!) molto utile a tutti in questo periodo, soprattutto a chi ha la responsabilità di prendere decisioni e di trasmetterle: “Sei cappelli per pensare” di Edward de Bono. In esso vi si dice che “se ci mettiamo a pensare in modo normale, noi, o escludiamo le emozioni (che continuano però nel sottofondo a esercitare con forza la loro azione), oppure ci troviamo a oscillare tra ragione ed emozioni. Se ai vari modi di pensare sono effettivamente associate condizioni chimiche diverse, questo pensiero confuso non dà al cervello la possibilità di stabilizzarsi nell’una o nell’altra di tali condizioni.” L’autore prosegue poi utilizzando sei cappelli di diverso colore per associare ad ogni cappello una funzione di pensiero: quello neutro e oggettivo che riguarda unicamente fatti e dati, quello che lascia spazio alle emozioni, quello del pessimista che mette in risalto perché una cosa non può essere fatta, quello dell’ottimista che evidenzia invece perché sarebbe utile farla, quello creativo che apre a nuove soluzioni, ed infine quello di processo, in grado di organizzare tutti gli altri.

Mi domando quale risultato diverso si sarebbe potuto ottenere se, per esempio, chi ha organizzato gli alert che con frequenza impressionante ci dicevano di lavarci le mani, indossare la mascherina e stare a casa – trascurando completamente di inserirvi le istruzioni per come maneggiare una mascherina – si fosse preso carico delle proprie “tempeste”. Forse ne sarebbe uscito uno spot diverso, una qualità di informazione più autorevole e completa giacché c’è un solo modo per utilizzare una mascherina, un solo modo per toglierla e riporla, un solo modo per utilizzare i guanti (quando necessario) e poi smaltirli: diversamente il loro uso rischia di essere controproducente…e il personale sanitario lo sa benissimo.

E poi mi domando come sarebbe stato e come sarebbe se tutte le persone che hanno preso decisioni, dato comunicazioni, rilasciato interviste, fossero state capaci di uscire da sé e dalla propria personale e limitata esperienza entrando profondamente in contatto con ciò che una quantità smisurata di persone si è trovata a vivere nella propria carne.

Vedo tanta reattività e la sento anche dentro di me. Quella sensazione di “vaso colmo” che con una piccola goccia può far fare le cose “di pancia” buttando a mare tutto l’impegno di queste lunghe settimane.

“Trasformare la paura in prudenza”, scrive Sebastiano Zanolli nel suo bellissimo “Alternative”, ma lo smarrimento è tanto.

E allora è indispensabile ri-centrarsi, pensare con 6 diversi cappelli per poter discernere, per mantenere diritta la barra della Cura di sé e degli altri senza superficialità ma anche senza ossessioni, riappropriandosi di un pensiero costruttivo, aperto e lineare. E soprattutto nella Gentilezza del cuore, delle parole e delle azioni.